Più sai, più vali!

Terra

Più sai, più vali!

 Mente

Albert EinsteinUn ingegnere fu chiamato a riparare un computer molto grande ed estremamente complesso, un computer del valore di 12 milioni di dollari.
Sedutosi di fronte allo schermo, premuti alcuni tasti, annuì, mormorò qualcosa tra sé e lo spense.
Prese un piccolo cacciavite dalla tasca e girò a metà a una piccola vite. Poi accese di nuovo il computer e scoprì che funzionava perfettamente.
Il presidente della società fu felice e si offrì di pagare il conto sul posto.
– Quanto le devo? chiese.
– Viene mille di dollari, se non vi dispiace.
– Mille dollari? Mille dollari per un paio di minuti di lavoro? Mille dollari, semplicemente girando una piccola vite? Io so che il mio computer costa 12 milioni di dollari, ma mille dollari è un importo pazzesco! Pagherò solo se mi invia una fattura dettagliata a giustificare perfettamente questa cifra.
Il tecnico annuì e se ne andò.
La mattina dopo, il Presidente ricevette la fattura, lesse attentamente, scosse la testa e procedette a pagare, senza indugio..
La fattura diceva:
Servizi offerti:
– Serrare una vite ……………………….Dollari     1
– Sapere quale vite serrare ………….Dollari 999
Per i professionisti che ogni giorno affrontano il disprezzo di coloro che per la loro stessa ignoranza non riescono a capire.
RICORDA ” Si vince per quel che si sa, non per quel che si fa”


Da bambino un mio zio mi raccomandava sempre di non mettere mai a disposizione degli altri il proprio sapere, se lo fai poi gli altri non avranno più bisogno di te, mi diceva. Sapete come è andata a finire, sono diventato un docente…..Firma


Giuseppe per le giuste viti da serrare

#820

 

Calendario per l’Anno Scolastico 2013-2014 – Veneto

Calendario per l’Anno Scolastico 2013-2014 - Veneto

Calendario per l’Anno Scolastico 2013-2014 – Veneto

 Calendario per l’Anno Scolastico 2013-2014 - Veneto

Con deliberazione n. 415 del 10/04/2013, la Giunta Regionale ha approvato il calendario scolastico 2013/2014.

Calendario Scolastico 2012/13a. Scuole del primo e del secondo ciclo d’istruzione

  • a.1 inizio attività didattica: 12 settembre 2013 (giovedì);
  • a.2 festività obbligatorie:
    • tutte le domeniche;
    • il 1° novembre, festa di tutti i Santi;
    • l’8 dicembre, Immacolata Concezione (nel 2013 coincidente con la domenica);
    • il 25 dicembre, Natale;
    • il 26 dicembre;
    • il 1° gennaio, Capodanno;
    • il 6 gennaio, Epifania;
    • il lunedì dopo Pasqua;
    • il 25 aprile, anniversario della Liberazione;
    • il 1° maggio, festa del Lavoro;
    • il 2 giugno, festa nazionale della Repubblica;
    • la festa del Santo Patrono;
  • a.3 vacanze scolastiche:
    • da venerdì 1 novembre a domenica 3 novembre 2013 (ponte di Ognissanti);
    • da domenica 22 dicembre 2013 a lunedì 6 gennaio 2014 (vacanze natalizie);
    • da domenica 2 a mercoledì 5 marzo 2014 compreso (carnevale e mercoledì delle Ceneri);
    • da giovedì 17, compreso, a lunedi 21 aprile 2014 (vacanze pasquali);
    • da venerdi 25 a domenica 27 aprile 2014 (ponte del XXV aprile);
  • a.4 fine attività didattica: 7 giugno 2014 (sabato)

b. Scuole dell’infanzia

  • b.1 inizio attività didattica: 12 settembre 2013 (giovedì);
  • b.2 festività obbligatorie: secondo quanto sopra indicato;
  • b.3 vacanze scolastiche: secondo quanto sopra indicato;
  • b.4 fine attività didattica: 30 giugno 2014 (lunedì);

Accedi alla delibera n. 415 del 10/04/2013 [file pdf 585Kb].

Giuseppe per la scuola

#812

Lettera ‘di’ una professoressa

Lettera 'di' una professoressa: "Bocciate mio figlio!

Bocciate mio figlio!

HOAX – BUFALA

 Lettera 'di' una professoressa: "Bocciate mio figlio!

BUONGIORNO - La Stampa
28/06/2013
Beata ingenuità
MASSIMO GRAMELLINI

«Ciao, la lettera sul pizzaiolo costretto a scegliere fra posto fisso e diploma di maturità (pubblicata da alcuni giornali e da cui è stato tratto il Buongiorno di ieri, ndr) non è stata una professoressa a scriverla. E’ opera della nostra agenzia. Abbiamo confezionato una storia da dare in pasto ai media, creato un indirizzo di posta ad hoc e inviato la mail ai tre principali quotidiani italiani con preghiera di non pubblicare il nome dell’autrice. Era l’unico modo per sollevare una riflessione sull’assenza di politiche economiche del governo. Sono certa che Gramellini saprà cogliere il senso di questa operazione che non è pubblicitaria, ma è una denuncia della situazione in cui versano le microimprese come la nostra». Chiara Ioele (Kook Artgency).

Ciao Chiara, sono Gramellini della Pirla Agency. Mi sono fidato di un’identità posticcia, che anche ieri mattina hai confermato con dovizia di particolari alla collega incaricata di intervistarti. Se nella lettera della falsa professoressa ci fossero stati riferimenti offensivi ad altre persone, avrei fatto controlli ulteriori. Invece ti ho creduto. Perché sollevavi un tema che mi sta a cuore: il divorzio, tutto italiano, fra lavoro e cultura. E perché la storia che raccontavi aveva il sapore della vita vera. Sono stato un ingenuo, ma se non mi fidassi – entro certi limiti – della buona fede di chi mi scrive, magari ci saremmo persi la storia di Gabriele Francesco – il neonato abbandonato sotto un traliccio – e quella di Pasquale, il pensionato a cui non aveva mai scritto nessuno. Continuerò a coltivare la mia ingenuità: fa comunque meno danni del cinismo.


Gentile redazione,

Insegno italiano in un istituto tecnico romano e sono commissario interno agli esami di maturità dei miei studenti.
In venti anni di servizio sono tante le cose che mi hanno dato soddisfazione, tanti gli studenti che imparando mi hanno insegnato delle cose. Tanti i sorrisi dopo le promozioni. Qualche più raro, ma impagabile, ringraziamento postumo.
Sono queste le cose che mi hanno dato la forza di continuare questo bellissimo mestiere anche di fronte alla scarsa considerazione professionale ed economica che segna la mia vita come quella di tutti i miei colleghi.
In questo periodo dell’anno è normale ricevere le telefonate da parte dei genitori dei ragazzi. È in gioco il loro futuro dei loro figli e capisco la preoccupazione di ogni genitore di far avere un voto migliore oppure evitare al ragazzo un ulteriore anno scolastico anche quando ce ne sarebbe il bisogno. A seconda del tono dei genitori alcune volte ho sorriso, altre volte mi sono arrabbiata perché sentivo invasa e violata la mia etica educativa. Ho sempre pensato di dover fornire ai miei studenti gli strumenti per affrontare la vita da adulto, per risolvere i problemi o le piccole e grandi complicazioni a cui sarebbero andati incontro una volta usciti da qui.
Ma stamattina ho ricevuto una telefonata che mi ha sconvolto.
Il padre di uno dei miei maturandi, che chiamerò Andrea, mi ha chiesto di bocciare il ragazzo. Andrea è stato uno studente molto volenteroso durante tutto l’anno e non è tra quelli che rischiano in alcun modo la bocciatura. Figlio di una famiglia dignitosa della periferia romana si è barcamenato con caparbia tra lo studio e il lavoro a nero in una pizzeria per aiutare la famiglia.
Non conoscevo il padre del ragazzo e inizialmente pensavo stesse scherzando. Solo dopo le sue insistenze accorate ho capito che diceva sul serio. Mi ha spiegato che i proprietari del ristorante dove Andrea lavora gli hanno assicurato che potevano finalmente assumerlo in maniera stabile grazie alla nuova legge sul lavoro in cui le agevolazioni sono però riservate unicamente a ragazzi senza diploma.
Non sono stata in grado di rispondere, per la prima volta in vita mia mi sono fermata a riflettere sulla mia funzione di educatrice. Un dilemma che non riesco a sciogliere: devo continuare a svolgere il mio ruolo con serietà o non è più giusto assicurare al ragazzo un lavoro stabile e bocciarlo? In fondo come mi ha spiegato il padre, Andrea si può tranquillamente diplomare il prossimo anno avendo però la fortuna di avere già un lavoro.
Io non so davvero cosa fare e spero di essere incappata in un caso limite. Mi chiedo però come sia stato possibile concepire una legge che premiando i giovani privi di diploma rischia di incentivare l’abbandono scolastico. È l’ennesima umiliazione del mio lavoro come di quello di tanti colleghi che nonostante tutto buttano il cuore e l’anima oltre le carenze strutturali della pubblica istruzione. Mi domando a questo punto quale senso abbia il mio lavoro.
(Lettera firmata)


Da stamattina continuo a leggere di questa notizia, professoressa che si sente implorare dal padre di un suo allievo di bocciarlo! Io che avevo pubblicato un’altra lettera ‘ad’ una professoressa , di tenore completamente opposto. Cos’è successo in questo periodo? Cos’è accaduto? Di cosa non mi sono reso conto? La cultura, il sapere dalla notte dei tempi sono sempre stati considerati valori importanti, sia per la sopravvivenza che per la crescita, per lo sviluppo e per il progresso. In che nazione mi trovo adesso, dove tutto ciò è diventato un DISvalore? Ero confuso, adesso sono smarrito, qualcuno mi aiuti. Anche se la lettera è falsa, concordo con quanto afferma Gramellini, è facile cadere nell’imbroglio in quanto in questo Paese, c’è un divorzio in corso tra cultura e lavoro.  (28 giugno 2013).


Giuseppe per la cultura o per la pizza?

#808

 

Siamo venuti già menati!!!

Matite colorate

La scuola si riappropria della dignità persa, con l’ironia….

“Semo venuti già menati!!!

 Matite colorate

Semo venuti già menati!!!


 Semo venuti già menati!!!


Slogan, scolapasta in testa al posto dei caschi, sfottò sugli scontri e i lacrimogeni dello scorso 14 novembre. “Semo venuti già menati”. In piazza a Roma e nel resto di Italia, gli studenti sfilano anche con l’ironia.Firma

Giuseppe per la scuola creativa

#766

 

Scuola pubblica o privata?

Piero Calamandrei, 1950: Una profezia agghiacciante sulla scuola pubblica

Piero Calamandrei, 1950: 

Una profezia agghiacciante sulla scuola pubblica

 Piero Calamandrei, 1950: Una profezia agghiacciante sulla scuola pubblica
Quando la scuola pubblica è cosa forte e sicura, allora, ma allora soltanto, la scuola privata non è pericolosa. Allora, ma allora soltanto, la scuola privata può essere un bene. Può essere un bene che forze private, iniziative pedagogiche di classi, di gruppi religiosi, di gruppi politici, di filosofie, di correnti culturali, cooperino con lo Stato ad allargare, a stimolare, e a rinnovare con varietà di tentativi la cultura. Al diritto della famiglia, che è consacrato in un altro articolo della Costituzione, nell’articolo 30, di istruire e di educare i figli, corrisponde questa opportunità che deve essere data alle famiglie di far frequentare ai loro figlioli scuole di loro gradimento e quindi di permettere la istituzione di scuole che meglio corrispondano con certe garanzie che ora vedremo alle preferenze politiche, religiose, culturali di quella famiglia. Ma rendiamoci ben conto che mentre la scuola pubblica è espressione di unità, di coesione, di uguaglianza civica, la scuola privata è espressione di varietà, che può voler dire eterogeneità di correnti decentratrici, che lo Stato deve impedire che divengano correnti disgregatrici. La scuola privata, in altre parole, non è creata per questo.La scuola della Repubblica, la scuola dello Stato, non è la scuola di una filosofia, di una religione, di un partito, di una setta. Quindi, perché le scuole private sorgendo possano essere un bene e non un pericolo, occorre: 
- che lo Stato le sorvegli e le controlli e che sia neutrale, imparziale tra esse. Che non favorisca un gruppo di scuole private a danno di altre.
- che le scuole private corrispondano a certi requisiti minimi di serietà di organizzazione.
Solamente in questo modo e in altri più precisi, che tra poco dirò, si può avere il vantaggio della coesistenza della scuola pubblica con la scuola privata. La gara cioè tra le scuole statali e le private. Che si stabilisca una gara tra le scuole pubbliche e le scuole private, in modo che lo Stato da queste scuole private che sorgono, e che eventualmente possono portare idee e realizzazioni che finora nelle scuole pubbliche non c’erano, si senta stimolato a far meglio, a rendere, se mi sia permessa l’espressione, “più ottime” le proprie scuole. Stimolo dunque deve essere la scuola privata allo Stato, non motivo di abdicazione. Ci siano pure scuole di partito o scuole di chiesa. Ma lo Stato le deve sorvegliare, le deve regolare; le deve tenere nei loro limiti e deve riuscire a far meglio di loro. La scuola di Stato, insomma, deve essere una garanzia, perché non si scivoli in quello che sarebbe la fine della scuola e forse la fine della democrazia e della libertà, cioè nella scuola di partito. Come si fa a istituire in un paese la scuola di partito? Si può fare in due modi. Uno è quello del totalitarismo aperto, confessato. Lo abbiamo esperimentato, ahimè. Credo che tutti qui ve ne ricordiate, quantunque molta gente non se ne ricordi più. Lo abbiamo sperimentato sotto il fascismo. Tutte le scuole diventano scuole di Stato: la scuola privata non è più permessa, ma lo Stato diventa un partito e quindi tutte le scuole sono scuole di Stato, ma per questo sono anche scuole di partito. Ma c’è un’altra forma per arrivare a trasformare la scuola di Stato in scuola di partito o di setta. Il totalitarismo subdolo, indiretto, torpido, come certe polmoniti torpide che vengono senza febbre, ma che sono pericolosissime.
Facciamo l’ipotesi, così astrattamente, che ci sia un partito al potere, un partito dominante, il quale però formalmente vuole rispettare la Costituzione, non la vuole violare in sostanza. Non vuol fare la marcia su Roma e trasformare l’aula in alloggiamento per i manipoli; ma vuol istituire, senza parere, una larvata dittatura. 

Allora, che cosa fare per impadronirsi delle scuole e per trasformare le scuole di Stato in scuole di partito? Si accorge che le scuole di Stato hanno il difetto di essere imparziali. C’è una certa resistenza; in quelle scuole c’è sempre, perfino sotto il fascismo c’è stata. Allora, il partito dominante segue un’altra strada (è tutta un’ipotesi teorica, intendiamoci). Comincia a trascurare le scuole pubbliche, a screditarle, ad impoverirle. Lascia che si anemizzino e comincia a favorire le scuole private. Non tutte le scuole private. Le scuole del suo partito, di quel partito. Ed allora tutte le cure cominciano ad andare a queste scuole private. Cure di denaro e di privilegi. Si comincia persino a consigliare i ragazzi ad andare a queste scuole, perché in fondo sono migliori si dice di quelle di Stato. E magari si danno dei premi, come ora vi dirò, o si propone di dare dei premi a quei cittadini che saranno disposti a mandare i loro figlioli invece che alle scuole pubbliche alle scuole private. A “quelle” scuole private. Gli esami sono più facili, si studia meno e si riesce meglio. Così la scuola privata diventa una scuola privilegiata. Il partito dominante, non potendo trasformare apertamente le scuole di Stato in scuole di partito, manda in malora le scuole di Stato per dare la prevalenza alle sue scuole private. Attenzione, amici, in questo convegno questo è il punto che bisogna discutere. Attenzione, questa è la ricetta. Bisogna tener d’occhio i cuochi di questa bassa cucina. L’operazione si fa in tre modi: ve l’ho già detto:
- rovinare le scuole di Stato. Lasciare che vadano in malora. Impoverire i loro bilanci. Ignorare i loro bisogni.
- attenuare la sorveglianza e il controllo sulle scuole private. Non controllarne la serietà. Lasciare che vi insegnino insegnanti che non hanno i titoli minimi per insegnare. Lasciare che gli esami siano burlette.
- dare alle scuole private denaro pubblico. Questo è il punto. Dare alle scuole private denaro pubblico!
Quest’ultimo è il metodo più pericoloso. » la fase più pericolosa di tutta l’operazione […]. Questo dunque è il punto, è il punto più pericoloso del metodo. Denaro di tutti i cittadini, di tutti i contribuenti, di tutti i credenti nelle diverse religioni, di tutti gli appartenenti ai diversi partiti, che invece viene destinato ad alimentare le scuole di una sola religione, di una sola setta, di un solo partito […].
Per prevedere questo pericolo, non ci voleva molta furberia. Durante la Costituente, a prevenirlo nell’art. 33 della Costituzione fu messa questa disposizione: “Enti e privati hanno diritto di istituire scuole ed istituti di educazione senza onere per lo Stato”. Come sapete questa formula nacque da un compromesso; e come tutte le formule nate da compromessi, offre il destro, oggi, ad interpretazioni sofistiche […]. Ma poi c’è un’altra questione che è venuta fuori, che dovrebbe permettere di raggirare la legge. Si tratta di ciò che noi giuristi chiamiamo la “frode alla legge”, che è quel quid che i clienti chiedono ai causidici di pochi scrupoli, ai quali il cliente si rivolge per sapere come può violare la legge figurando di osservarla […]. E venuta cos” fuori l’idea dell’assegno familiare, dell’assegno familiare scolastico.
Il ministro dell’Istruzione al Congresso Internazionale degli Istituti Familiari, disse: la scuola privata deve servire a “stimolare” al massimo le spese non statali per l’insegnamento, ma non bisogna escludere che anche lo Stato dia sussidi alle scuole private. Però aggiunse: pensate, se un padre vuol mandare il suo figliolo alla scuola privata, bisogna che paghi tasse. E questo padre è un cittadino che ha già pagato come contribuente la sua tassa per partecipare alla spesa che lo Stato eroga per le scuole pubbliche. Dunque questo povero padre deve pagare due volte la tassa. Allora a questo benemerito cittadino che vuole mandare il figlio alla scuola privata, per sollevarlo da questo doppio onere, si dà un assegno familiare. Chi vuol mandare un suo figlio alla scuola privata, si rivolge quindi allo Stato ed ha un sussidio, un assegno […].
Il mandare il proprio figlio alla scuola privata è un diritto, lo dice la Costituzione, ma è un diritto il farselo pagare? » un diritto che uno, se vuole, lo esercita, ma a proprie spese. Il cittadino che vuole mandare il figlio alla scuola privata, se la paghi, se no lo mandi alla scuola pubblica.
Per portare un paragone, nel campo della giustizia si potrebbe fare un discorso simile. Voi sapete come per ottenere giustizia ci sono i giudici pubblici; peraltro i cittadini, hanno diritto di fare decidere le loro controversie anche dagli arbitri. Ma l’arbitrato costa caro, spesso costa centinaia di migliaia di lire. Eppure non è mai venuto in mente a un cittadino, che preferisca ai giudici pubblici l’arbitrato, di rivolgersi allo Stato per chiedergli un sussidio allo scopo di pagarsi gli arbitri! […]. Dunque questo giuoco degli assegni familiari sarebbe, se fosse adottato, una specie di incitamento pagato a disertare le scuole dello Stato e quindi un modo indiretto di favorire certe scuole, un premio per chi manda i figli in certe scuole private dove si fabbricano non i cittadini e neanche i credenti in una certa religione, che può essere cosa rispettabile, ma si fabbricano gli elettori di un certo partito“.

Piero Calamandrei, 1950


Giuseppe per la scuola

#285

Lettera ad una professoressa

Scuola lavagna

Lettera ad una professoressa

della Scuola di Barbiana

 

Scuola lavagna

Cara signora,

lei di me non ricorderà nemmeno il nome. Ne ha bocciati tanti. Io invece ho ripensato spesso a lei, ai suoi colleghi, a quell’istituzione che chiamate scuola, ai ragazzi che “respingete”. Ci respingete nei campi e nelle fabbriche e ci dimenticate.

la timidezza

Due anni fa, in prima magistrale, lei mi intimidiva. Del resto la timidezza ha accompagnato tutta la mia vita. Da ragazzo non alzavo gli occhi da terra. Strisciavo alle pareti per non esser visto. Sul principio pensavo che fosse una malattia mia o al massimo della mia famiglia. La mamma è di quelle che si intimidiscono davanti a un modulo di telegramma. Il babbo osserva e ascolta, ma non parla. Più tardi ho creduto che la timidezza fosse il male dei montanari. I contadini del piano mi parevano sicuri di sè. Gli operai poi non se ne parla. Ora ho visto che gli operai lasciano ai figli di papà tutti i posti di responsabilità nei partiti e tutti i seggi in parlamento. Dunque son come noi. E la timidezza dei poveri è un mistero più antico. Non glielo so spiegare io che ci son dentro. Forse non è nè viltà nè eroismo. È solo mancanza di prepotenza.

I montanari

la pluriclasse

Alle elementari lo Stato mi offrì una scuola di seconda categoria. Cinque classi in un’aula sola. Un quinto della scuola cui avevo diritto. È il sistema che adoprano in America per creare le differenze tra bianchi e neri. Scuola peggiore ai poveri fin da piccini.

scuola dell’obbligo

Finite le elementari avevo diritto a altri tre anni di scuola. Anzi la Costituzione dice che avevo l’obbligo di andarci. Ma a Vicchio non c’era ancora scuola media. Andare a Borgo era un’impresa. Chi ci s’era provato aveva speso un monte di soldi e poi era stato respinto come un cane. Ai miei poi la maestra aveva detto che non sprecassero soldi: “Mandatelo al campo. Non è adatto per studiare”. Il babbo non le rispose. Dentro di sè pensava: “Se si stesse di casa a Barbiana sarebbe adatto”.

Barbiana

A Barbiana tutti i ragazzi andavano a scuola dal prete. Dalla mattina presto fino a buio, estate e inverno. Nessuno era “negato per gli studi”. Ma noi eravamo di un altro popolo e lontani. Il babbo stava per arrendersi. Poi seppe che ci andava anche un ragazzo di S. Martino. Allora si fece coraggio e andò a sentire.

il bosco

Quando tornò vidi che mi aveva comprato una pila per la sera, un gavettino per la minestra e gli stivaloni di gomma per la neve. Il primo giorno mi accompagnò lui. Ci si mise due ore perchè ci facevamo strada col pennato e la falce. Poi imparai a farcela in poco più di un’ora. Passavo vicino a due case sole. Coi vetri rotti, abbandonate da poco. A tratti mi mettevo a correre per una vipera o per un pazzo che viveva solo alla Rocca e mi gridava da lontano. Avevo undici anni. Lei sarebbe morta di paura. Vede? Ognuno ha le sue timidezze. Siamo pari dunque. Ma solo se ognuno sta a casa sua. O se lei avesse bisogno di dar gli esami da noi. Ma lei non ne ha bisogno.

i tavoli

Barbiana, quando arrivai, non mi sembrò una scuola. Nè cattedra, nè lavagna, nè banchi. Solo grandi tavoli intorno a cui si faceva scuola e si mangiava.

D’ogni libro c’era una copia sola. I ragazzi gli si stringevano sopra. Si faceva fatica a accorgersi che uno era un po’ più grande e insegnava.

Il più vecchio di quei maestri aveva sedici anni. Il più piccolo dodici e mi riempiva di ammirazione. Decisi fin dal primo giorno che avrei insegnato anch’io.

il preferito

La vita era dura anche lassù. Disciplina e scenate da far perdere la voglia di tornare. Però chi era senza basi, lento o svogliato si sentiva il preferito. Veniva accolto come voi accogliete il primo della classe. Sembrava che la scuola fosse tutta solo per lui. Finchè non aveva capitò, gli altri non andavano avanti.

la ricreazione

Non c’era ricreazione. Non era vacanza nemmeno la domenica. Nessuno di noi se ne dava gran pensiero perché il lavoro è peggio. Ma ogni borghese che veniva a visitarci faceva una polemica su questo punto. Un professore disse: “Lei reverendo non ha studiato pedagogia. Polianski dice che lo sport è per il ragazzo una necessità fisiopsico…”. Parlava senza guardarci. Chi insegna pedagogia all’Università, i ragazzi non ha bisogno di guardarli. Li sa tutti a mente come noi si sa le tabellone. Finalmente andò via e Lucio che aveva 36 mucche nella stalla disse: “La scuola sarà sempre meglio della merda”.

i contadini nel mondo

Questa frase va scolpita sulla porta delle vostre scuole. Milioni di ragazzi contadini son pronti a sottoscriverla. Che i ragazzi odiano la scuola e amano il gioco lo dite voi. Noi contadini non ci avete interrogati. Ma siamo un miliardo e novecento milioni. Sei ragazzi su dieci la pensano esattamente come Lucio. Degli altri quattro non si sa. Tutta la vostra cultura è costruita così, come se il mondo foste voi.

ragazzi maestri

L’anno dopo ero maestro. Cioè lo ero tre mezze giornate la settimana. Insegnavo geografia matematica e francese a prima media. Per scorrere un atlante o spiegare le frazioni non occorre la laurea. Se sbagliavo qualcosa poco male. Era un sollievo per i ragazzi. Si cercava insieme. Le ore passavano serene senza paura e senza soggezione. Lei non sa fare scuola come me.

politica o avarizia

Poi insegnando imparavo tante cose. Per esempio ho imparato che il problema degli altri è uguale al mio. Sortirne tutti insieme è la politica. Sortirne da soli è l’avarizia. Dall’avarizia non ero mica vaccinato. Sotto gli esami avevo voglia di mandare al diavolo i piccoli e studiare per me. Ero un ragazzo come i vostri, ma lassù non lo potevo confessare né agli altri né a me stesso. Mi toccava esser generoso anche quando non ero. A voi vi parrà poco. Ma coi vostri ragazzi fate meno. Non gli chiedete nulla. Li invitate soltanto a farsi strada.

I ragazzi di paese

contorti

Dopo l’istituzione della scuola media a Vicchio arrivarono a Barbiana anche ragazzi di paese. Tutti bocciati, naturalmente. Apparentemente il problema della timidezza per loro non esisteva. Ma erano contorti in altre cose.

Per esempio consideravano il gioco e le vacanze un diritto, la scuola un sacrificio. Non avevano mai sentito dire che a scuola si va per imparare e che andarci è un privilegio. Il maestro per loro era dall’altra parte della barricata e conveniva ingannarlo. Cercavano perfino di copiare. Gli ci volle del tempo per capire che non c’era registro.

il galletto

Anche nel sesso gli stessi sotterfugi. Credevano che bisognasse parlarne di nascosto. Se vedevano un galletto su una gallina si davano le gomitate come se avessero visto un adulterio. Comunque sul principio era l’unica materia scolastica che li svegliasse. Avevamo un libro di anatomia. Si chiudevano a guardarlo in un cantuccio. Due pagine erano tutte consumate. Più tardi scoprirono che son belline anche le altre. Poi si accorsero che è bella anche la storia. Qualcuno non s’è più fermato. Ora gli interessa tutto. Fa scuola ai più piccini, è diventato come noi. Qualcuno invece siete riusciti a ghiacciarlo un altra volta.

le bambine

Delle bambine di paese non ne venne neanche una. Forse era la difficoltà della strada. Forse la mentalità dei genitori. Credono che una donna possa vivere anche con un cervello di gallina. I maschi non le chiedono di essere intelligente. È razzismo anche questo. Ma su questo punto non abbiamo nulla da rimproverarvi. Le bambine le stimate più voi che i loro genitori.

Sandro e Gianni

Sandro aveva 15 anni. Alto un metro e settanta, umiliato, adulto. I professori l’avevano giudicato un cretino. Volevano che ripetesse la prima per la terza volta. Gianni aveva 14 anni. Svagato, allergico alla lettura. I professori l’avevano sentenziato un delinquente. E non avevano tutti i torti, ma non è un motivo per levarselo di torno. Nè l’uno nè l’altro avevano intenzione di ripetere. Erano ridotti a desiderare l’officina. Sono venuti da noi solo perchè noi ignoriamo le vostre bocciature e mettiamo ogni ragazzo nella classe giusta per la sua età. Si mise Sandro in terza e Gianni in seconda. È stata la prima soddisfazione scolastica della loro povera vita. Sandro se ne ricorderà per sempre. Gianni se ne ricorda un giorno sì e uno no.

la Piccola Fiammiferaia

La seconda soddisfazione fu di cambiare finalmente programma. Voi li volevate tenere fermi alla ricerca della perfezione. Una perfezione che è assurda perchè il ragazzo sente le stesse cose fino alla noia e intanto cresce. Le cose restano le stesse, ma cambia lui. Gli diventano puerili tra le mani.Per esempio in prima gli avreste riletto per la seconda o terza volta la Piccola Fiammiferaia e la neve che fiocca fiocca fiocca. Invece in seconda e terza leggete roba scritta per adulti. Gianni non sapeva mettere l’acca al verbo avere. Ma del mondo dei grandi sapeva tante cose. Del lavoro, delle famiglie, della vita del paese. Qualche sera andava col babbo alla sezione comunista o alle sedute del Consiglio Comunale. Voi coi greci e coi romani gli avete fatto odiare tutta la storia. Noi sull’ultima guerra si teneva quatt’ore senza respirare. A geografia gli avreste fatto l’Italia per la seconda volta. Avrebbe lasciato la scuola senza aver sentito rammentare tutto il resto del mondo. Gli avreste fatto un danno grave. Anche solo per leggere il giornale.

non ti sai esprimere

Sandro in poco tempo s’appassionò a tutto. La mattina seguiva il programma di terza. Intanto prendeva nota delle cose che non sapeva e la sera frugava nei libri di seconda e prima. A giugno il “cretino” si presentò alla licenza e vi toccò passarlo. Gianni fu più difficile. Dalla vostra scuola era uscito analfabeta e con l’odio per i libri.

Noi per lui si fecero acrobazie. Si riuscì a fargli amare non dico tutto, ma almeno qualche materia. Ci occorreva solo che lo riempiste di lodi e lo passaste in terza. Ci avremmo pensato noi in seguito a fargli amare anche il resto. Ma agli esami una professoressa gli disse: “Perchè vai a una scuola privata? Lo vedi che non ti sai esprimere?” “…..”.  Lo so anch’io che Gianni non si sa esprimere.Battiamoci il petto tutti quanti. Ma prima voi che l’avete buttato fuori di scuola l’anno prima. Bella cura la vostra.

senza distinzioni di lingua

Del resto bisognerebbe intendersi su cosa sia lingua corretta. Le lingue le creano i poveri e poi seguitano a rinnovarle all’infinito. I ricchi le cristallizzano per poter sfottere chi non parla come loro. O per bocciarlo. Voi dite che Pierino del dottore scrive bene. Per forza, parla come voi. Appartiene alla ditta. Invece la lingua che parla e scrive Gianni è quella del suo babbo. Quando Gianni era piccino chiamava la radio lalla. E il babbo serio: “Non si dice lalla, si dice aradio”.   Ora, se è possibile, è bene che Gianni impari a dire anche radio. La vostra lingua potrebbe fargli comodo. Ma intanto non potete cacciarlo dalla scuola. “Tutti i cittadini sono uguali senza distinzioni di lingua”. L’ha detto la Costituzione pensando a lui.

burattino obbediente

Ma voi avete più in onore la grammatica che la Costituzione. E Gianni non è più tornato neanche da noi. Non non ce ne diamo pace. Lo seguiamo di lontano. S’è saputo che non va più in chiesa, nè alla sezione di nessun partito. Va in officina e spazza. Nelle ore libere segue le mode come un burattino obbediente. Il sabato a ballare, la domenica allo stadio. Voi di lui non sapete neanche che esiste.

l’ospedale

Così è stato il nostro primo incontro con voi. Attraverso i ragazzi che non volete. L’abbiamo visto anche noi che con loro la scuola diventa più difficile. Qualche volta viene la tentazione di levarseli di torno. Ma se si perde loro, la scuola non è più scuola. È un ospedale che cura i sani e respinge i malati. Diventa uno strumento di differenziazione sempre più irrimediabile. E voi ve la sentite di fare questa parte nel mondo? Allora richiamateli, insistete, ricominciate tutto da capo all’infinito a costo di passar da pazzi. Meglio passar da pazzi che esser strumento di razzismo.


(Scuola di Barbiana, Lettera a una professoressa, pp. 9-20, Libreria editrice fiorentina 1967)


Mentre pubblicavo il post di prima della lettera al ministro Gelmini mi frullava in testa, come un tarlo, un’altra lettera. Sono passati anni, le motivazione sono diverse, il contesto assolutamente superato, anche se una certa provincialità fa fatica ad abbandonare questa nazione, ma alcuni nodi ciclicamente tornano al pettine. L’accusata è sempre la scuola, strano spazio capace di gesti altissimi ma anche di incredibili cecità. Io ci vivo dentro ma ho una strana sensazione! Mi sento come uno di quei bersagli che si mettono nei poligoni di tiro! Sono al centro di un tiro incrociato che, secondo me, porterà alla distruzione totale di questa fantastica occasione per prepararsi alla vita. Non aggiungo altro, potrei ricevere censure severissime dai miei superiori, già alcune circolari regionali invitano a non esprimere pareri in merito. Mi sento in ginocchio, dietro di me qualcuno mi sta mettendo un bavaglio sulla bocca e sugli occhi per nn farmi parlare e guardare quello che accade. Il plotone d’esecuzione è già pronto davanti a me…… 


Giuseppe per la scuola

#206

Copyright © All Rights Reserved · Green Hope Theme by Sivan & schiy · Proudly powered by WordPress