Tamponamento, pronto soccorso e razzismo

Penna

“Il sonno della ragione genera mostri”

Francisco Goya

 

 Pronto soccorso bambini

Pronto soccorsoFebbraio, appena finiti i 3 giorni della merla e nel Veneto settentrionale il freddo comincia a giocare duro. Ore 13.45 comincia a nevicare, spettacolo magnifico, con i fiocchi che cadono giù nella loro atavica danza che non smette mai di affascinare. Troppo forte la tentazione per non fare una foto e postarla a tutti gli amici di facebook. Ore 14.00 foto postata e cominciano i primi commenti. Neanche il tempo di leggerli che vengo richiamato al mio dovere di pedagogo, devo correre a scuola, c’è da sorvegliare gli alunni durante il loro progetto di “peer tutoring”, ovvero studenti (bravi) che insegnano a studenti (meno bravi), il mio compito è quello di vigilare che tutta avvenga regolarmente e di intervenire in caso di bisogno… didattico. Comincia la vestizione, pedule strategiche (studiate per scalare Annapurna, come si fosse al parco sotto casa), maglione iper-caldo (con corredo di renne e babbinatali vari che lo istoriano), super-piumone (con almeno un allevamento di oche spennato dentro, povere oche), sciarpa fantozziana (avvolgente, quasi come i fili di una dinamo). Pronti per andare a scuola. Prendo la macchina, allaccio le cinture, guido con molta cautela, la neve appena caduta rende vischiosa la strada più delle insalate condita dal mio papà (note per l’abbondanza d’olio con cui le lubrificava). Dopo 300 metri mi fermo ad un semaforo, è rosso. Il ragazzo che mi segue, distratto dalla manovra improvvida di un camion, mi viene addosso e mi tampona. Poverino lui ci ha provato a schivarmi, ma sotto le ruote c’è una sostanza saponosa, e la sua macchina termina la corsa contro il paraurti della mia. Io scendo, un po’ intontito, ma lucido, scambio di generalità con il mio tamponatore e decidiamo di rimandare le pratiche burocratiche alla sera, con tutta calma e senza quella fastidiosa neve che continua a venir giù (la poesia della neve comincia a scemare). Riprendo la mia strada per la scuola. Arrivato a scuola, evidentemente il mio volto denuncia un po’ di stress da tamponamento, i miei colleghi mi chiedono cosa sia successo. Io informo loro dei fatti e loro mi spediscono di corsa al pronto soccorso, è sempre meglio controllare che nell’impatto non ci sia stato il famoso “colpo di frusta”. Sarà  lo stress, sarà la suggestione io cominciavo a sentire caldo al collo e un lieve dolore. Convinto, mi dirigo al pronto soccorso. Arrivo, ci sono un po’ di persone, normale amministrazione, dovrei aspettare un paio di altri casi, non molto gravi, prima del mio turno. Aspetto. Nel frattempo arriva una mia ex-alunna che per la neve è scivolata con il motorino, lei sospetta una frattura al braccio, io la lascio passare prima di me. Al triage, l’infermiere è molto cortese, raccoglie i dati di tutti, misura la pressione, controlla il battito e poi mette in attesa a seconda della gravità. Così accade per la mia ex alunna, e per gli altri. Arriva il mio turno, l’infermiere mi chiede la tessera sanitaria, io dico di non averla con me, ma che se vuole ricordo a memoria il codice fiscale e posso dettarglielo, lui molto gentilmente mi dice che basta il nome e cognome. Mi trova nell’archivio, imposta la denuncia, non trova il mio titolo, si scusa che non può mettere “prof”, io dico che non è importante. Mi fa accomodare, molto gentilmente misura anche a me la pressione e poi m’invita ad attendere il mio turno per la visita medica. Ritorno in sala d’attesa, m’informo delle condizioni della mia ex-alunna, con qualche battuta cerco di tirarla su. Mentre parlo con la mia alunna, arriva un’urgenza, un ragazzo, su una sedia a rotelle, è semi-svenuto, una mano fasciata, ha il capo reclino e non lo vedo in volto. E’ vestito con una tuta, un incidente sul lavoro. Entra subito dall’infermiere che ci aveva visitato prima. Chiudono la porte, il ragazzo ha una ferita grave alla mano (poi scoprirò che praticamente in un tornio si è spappolato un dito).
 Il sonno della ragione genera mostri - Francisco GoyaRestiamo fuori noi in attesa, anche un po’ in ansia per la situazione del ragazzo. Nonostante la porta chiusa, sentiamo la voce dell’infermiere. Ma qualcosa è cambiato, non è più gentile come prima. La sua voce è diventata dura. Si rivolge al ragazzo con malagrazia. Lo sgrida. Gli dice si smetterla di lamentarsi (in malo modo). Sentiamo che lo strattona. “Smettila”… “girati”…”adesso basta”…. Spezzoni di frasi ci arrivano, io guardo in faccia gli altri in attesa e sui nostri volti si dipinge lo stupore. Non capiamo come mai quell’infermiere, fino a quel momento così cortese con noi, adesso sia così rude, maleducato, poco professionale nei confronti di quel ragazzo. Ragazzo che ha la situazione clinica più grave di tutti noi, è semi-svenuto, ed è evidente che soffre molto. Mentre ciò accade, viene chiamato il mio nome e devo andare dal dottore per la visita. Il dottore mi ”collarizza” subito e mi manda a fare le radiografie di rito. Mi sposto ancora e vado nella sala radiologica, a poco a poco vengo raggiunto dagli altri che erano con me in attesa al pronto soccorso, compresa la mia ex-alunna che nel frattempo si aggrava e sente più dolore.
Dopo una decina di minuti arriva anche il ragazzo che aveva avuto l’incidente sul lavoro. Stavolta è sveglio e posso guardarlo in faccia. A questo punto capisco tutto. Il ragazzo non è italiano, dai tratti somatici potrebbe essere un indo/pakistano/bengalese. L’infermiere formato dottor Jekyll/mr Hyde, è affetto da schizofrenia, bravo e cortese con gli italiani (strano che non abbia captato il mio accento sud-tirolese, mooooooolto a sud del Tirolo), e davvero spregevole con “quelli di colore”.  Avevo appena postato il racconto della signora, dell’uomo di colore, della hostess e della brillante soluzione del capitano dell’aereo, che è in odore di “bufala”, e poi constato personalmente che la realtà a volte può superare la fantasia.
Ho passato una notte insonne, un po’ il dolore al collo, un po’ un senso di fastidio diffuso verso il genero umano e poi ho pensato ad Auschwitz e mi sono addormentato pensando….. non è cambiato niente.

Concludo con una frase del Goya, sommo pittore e grande pensatore: “Il sonno della ragione genera mostri”.Firma


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#609

 

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  1. Alla scemenza umana non mi ci abituo!Non c’è sonno della ragione in chi opera in questo modo, si è solo mostri…di nascita.

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  2. Sic!

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  3. Si dice sempre che bisogna ricordare per migliorare…ma cosa? L’uomo non imparerà mai a vivere in pace e ad amare…Che tristezza! E ancor più triste che avvenga in un luogo dove il soccorrere l’altro non dovrebbe solo essere professionalità, ma estrema umanità.

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  4. Parafrasando Guccini:
    Io chiedo quando sarà
    Che l’uomo potrà imparare
    A vivere senza DISCRIMINARE?
    Ciao

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  5. Certo che interpretare ciò che avviene durante una medicazione complicata, senza nulla vedere ha qualcosa di straordinario. Citare in questo caso Goya fa diventare il racconto grottesco. Credo che prima di far la morale agli altri dovremo almeno conoscere bene i fatti, sopratutto prima di emettere giudizi facendo riferimenti addirittura ai campi di concentramento. Poveri studenti, mi viene infine da dire!

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