Tassa sul macinato

Tasse - Imposte - GabelleTassa sul macinato


 
 
 
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Tassa sul macinato - Pane«Il mugnaio doveva pagare al fisco la tassa in ragione dei giri; ma a seconda della diversità tra mulino e mulino, anzi da macina a macina, il prodotto di un ugual numero di giri variava….si aggiunga che il mugnaio, tenuto a pagare la tassa in ragione dei giri, nel farsi rimborsare dal cliente….doveva e non poteva altrimenti che conteggiargli la tassa secondo il peso. E giri e peso non andavano mai d’accordo; e fisco, mugnai, clienti, ognuno si riteneva danneggiato e derubato e ingannato. »
La tassa sul macinato, come è nota comunemente l’imposta sulla macinazione del grano e dei cereali in genere, fu un’imposta indiretta, ideata, tra gli altri, da Quintino Sella, al fine di contribuire al risanamento delle finanze pubbliche.
 
Storia della tassa 
Promulgata per iniziativa di Luigi Menabrea il 7 luglio 1868, entrò in vigore il 1º gennaio del 1869. A seguito delle rivolte popolari scoppiate per le sue gravi conseguenze, la battaglia si trasferì in Parlamento, ma già il 26 gennaio 1869 il Senato la confermò e conferì al generale Raffaele Cadorna – poi protagonista nel 1870 della presa di Roma con la breccia di Porta Pia – pieni poteri per la repressione. La tassa fu inasprita dal governo guidato da Giovanni Lanza per iniziativa di Quintino Sella nel 1870 e ancora sotto Marco Minghetti tra il 1873 e il 1876, portando infine alla crisi del suo governo e alla caduta della Destra storica.
Giunta la Sinistra al potere, il governo presieduto da Agostino Depretis non abolì subito la tassa, adottando inizialmente una politica di moderata gradualità. Nel 1879 la tassa fu ridotta solo in parte a causa dell’opposizione della Destra in Senato, la quale ottenne che l’imposta fosse mantenuta per quasi tutti i cereali.
Dopo un’ulteriore riduzione nel 1880, ad opera del secondo governo presieduto da Benedetto Cairoli e con Agostino Magliani come ministro delle Finanze, fu definitivamente abolita nel 1884 dal governo guidato nuovamente da Depretis.
 
Metodologia di calcolo della tassa 
All’interno di ogni mulino veniva applicato un contatore meccanico che conteggiava i giri effettuati dalla ruota macinatrice. La tassa era così dovuta in proporzione al numero di questi giri, che, secondo i legislatori, dovevano corrispondere alla quantità di cereale macinata.
Ogni mugnaio era quindi tenuto a versare la tassa all’erario, sia con riferimento alla lettura del contatore, che, in mancanza di questo, sulla base della macinazione presunta. Per via di questo meccanismo fiscale il mugnaio stesso rivestiva, suo malgrado, il ruolo di esattore, essendo tenuto a richiedere ad ogni avventore del mulino la corresponsione della tassa calcolata in proporzione al peso del cereale che veniva portato alla macinazione.
La misura della tassa variava a seconda del tipo di cereale, ed era commisurata a ogni quintale macinato:
Castagne – Tassa di cinquanta centesimi per ogni quintale macinato
Segale – Tassa di una lira per ogni quintale macinato
Granoturco – Tassa di una lira per ogni quintale macinato
Avena – Tassa di una lira e venti centesimi per ogni quintale macinato
Grano – Tassa di due lire per ogni quintale macinato
La tassa sul macinato era dovuta anche sull’importazione di cereali dall’estero, nella forma di una sovrattassa del 20%, che si sovrapponeva ai dazi doganali già normalmente applicati.
 
Effetti 
Come effetto più diretto, la tassa sul macinato causò un forte incremento del prezzo del pane e, in generale, dei derivati del grano e degli altri cereali, prezzo che non scese dopo l’abrogazione della tassa.
Se da un lato la nuova tassa contribuì, insieme all’Imposta di ricchezza mobile, al raggiungimento del pareggio di bilancio nel 1876, dall’altro diffuse il malcontento nelle classi sociali più povere, per le quali i derivati del grano rappresentavano il principale, se non unico, alimento e andava contro la tradizionale politica annonaria di favorire prezzi contenuti per i cereali.
Un’altra importante conseguenza del provvedimento fu la progressiva chiusura di gran parte dei piccoli mulini non in grado di munirsi dei necessari meccanismi di misura, necessari per determinare l’ammontare dell’ imposta da pagare, a vantaggio di quelli più importanti, i quali, riuscendo a dichiarare meno di quanto macinassero e grazie all’economia di scala, potevano vendere i propri prodotti a un prezzo inferiore. [2]
A seguito dell’introduzione della tassa scoppiarono in tutta Italia violente rivolte, che furono represse duramente, a volte nel sangue.

Perché poi, alla fine, nessuno inventa niente. A volte basta semplicemente guardare indietro per capire determinate cose. Ma la storia è così noiosa da studiare…..


Giuseppe per la storia…. magistra vitae.

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Add a comment »3 comments to this article

  1. Nel 1992 rinovammo il panificio, l’arredatore mise un rosa ovale dove all’interno è dipinta una spiga e la frase “Il pane una storia di vita”.
    Entrò un mio cliente professore di storia al liceo che iniziò a sbraitare:- che brutto, che brutto quell’ovale, richiama la guerra del pane- così si mise a raccontarmi questa storia, mentre i miei suoceri non furono da meno, proseguirono raccontandola dal 1930 in poi.
    Certo che se si vanno a toccare i cereali è sintomo di crisi nera.
    Ciao

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  2. Bah, secondo me l’ovale del tuo architetto non era male, anzi adattissimo per un panificio. Con questo ripasso vorrei solo riportare alla mente delle persone che la storia si ripete ineluttabile e a pagare sono sempre le categorie più deboli. Il politico non si fa nessun scrupolo a tassare anche il pane, se deve pareggiare i conti. Tanto se manca il pane, lui mangia brioches, tanto per parafrasare un’altra bella figura, stavolta francese.
    Ciao Ale

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  3. 150 anni fa… « trapezunzio

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