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Google – Doodle del giorno 17 Novembre 2011


111° anniversario della nascita di Giò Pomodoro

 

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Google Doodle Giò Pomodoro

 
Giò Pomodoro (Orciano di Pesaro, 17 novembre 1930 – Milano, 21 dicembre 2002) è stato uno scultore italiano. Viene considerato uno fra i più importanti scultori astratti del panorama internazionale del XX secolo[1]. Fratello del noto scultore Arnaldo Pomodoro.
Egli nacque ad Orciano di Pesaro il 17 novembre 1930. Già a partire dal 1955, collaborando anche con il fratello maggiore Arnaldo e con artisti del calibro di Piero Dorazio, Gastone Novelli, Giulio Turcato, Tancredi Parmeggiani, Achille Perilli e Lucio Fontana, presentò delle opere al Gruppo Continuità, che vedeva la partecipazione di critici come Guido Ballo, Giulio Carlo Argan, e Franco Russoli. Più tardi però si staccò da questi artisti e si diresse incontro a un pensiero di “rappresentazione razionale dei segni”.
Egli si dedicò attivamente alla ricerca scultorea, partendo giovanissimo con le prime esperienze informali sul segno, per approdare ai grandi cicli sulla materia e il vuoto – Superfici in tensione e Folle – e sulla geometria – Soli, Archi e Spirali.
Dedicatosi attivamente alla pittura, all’oreficeria d’arte, alla scenografia e al design, egli fu più volte invitato alla Biennale di Venezia e a documenta a Kassel.
Egli predilesse ampie aree fluttuanti in bronzo e grandi blocchi scolpiti nel marmo o squadrati con rigidezza nella pietra. In queste opere solitamente si aprono degli spazi vuoti che lasciano irrompere la luce del sole. Il sole, infatti, è spesso il soggetto delle sue opere (anche se non viene rappresentato esplicitamente) a cui sono legati dei precisi significati ideologici dell’autore.
Nel suo paese natale dell’entroterra marchigiano, precisamente nel luogo in cui nacque, decise di realizzare una piazza, recante al centro una sua opera in marmo intitolata Sole deposto, che riporta alla base dei versi di una celebre poesia, proprio a ricordare il suo attaccamento al luogo di origine:
« Sempre caro mi fu quest’ermo colle… »
(Giacomo Leopardi, L’infinito)

Da Wikipedia


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