Michela Murgia – Accabadora

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Michela Murgia – Accabadora

(Vincitore Premio Campiello 2010 – XLVIII Edizione)

 Penna

 Michela Murgia - Accabadora   (Vincitore Premio Campiello 2010 - XLVIII Edizione)Perché Maria sia finita a vivere in casa di Bonaria Urrai, è un mistero  che a Soreni si fa fatica a comprendere. Lavecchia e la bambina camminano per le strade del paese seguite da uno strascico di commenti malevoli, eppure è così semplice: Tzia Bonaria ha preso Maria con sé, la farà crescere e ne farà la sua erede, chiedendole in cambio la presenza e la cura per quando sarà lei ad averne bisogno. Quarta figlia femmina di madre vedova, Maria è abituata a pensarsi, lei per prima, come “l’ultima”. Per questo non finiscono di sorprenderla il rispetto e le attenzioni della vecchia sarta del paese, che le ha offerto una casa e un futuro, ma soprattutto la lascia vivere e non sembra desiderare niente al posto suo. “Tutt’a un tratto era come se fosse stato sempre così, anima e fili’e anima, un modo meno colpevole di essere madre e figlia”. Eppure c’è qualcosa in questa vecchia vestita di nero e nei suoi silenzi lunghi, c’è un’aura misteriosa che l’accompagna, insieme a quell’ombra di spavento che accende negli occhi di chi la incontra. Ci sono uscite notturne che Maria intercetta ma non capisce, e una sapienza quasi millenaria riguardo alle cose della vita e della morte. Quello che tutti sanno e che Maria non immagina, è che Tzia Bonaria Urrai cuce gli abiti e conforta gli animi, conosce i sortilegi e le fatture, ma quando è necessario è pronta a entrare nelle case per portare una morte pietosa. Il suo è il gesto amorevole e finale dell’accabadora, l’ultima madre.

Tratto da IBS.IT


Michela Murgia è nata a Cabras nel 1972. Nel 2006 ha pubblicato con Isbn Il mondo deve sapere, il diario tragicomico di un mese di lavoro che ha ispirato il film di Paolo Virzì, Tutta la vita davanti. Per Einaudi ha pubblicato nel 2008 Viaggio in Sardegna. Undici percorsi nell’isola che non si vede e nel 2009 il romanzo Accabadora.


Michela MurgiaLeggere questo libro e precipitare nella propria nfanzia. Per fortuna anch’io sono nato in un piccolo paese, di una realtà rurale carica di significati antropologicamente alti.  Sono stato l’ultimo – forse – a vedere le ampie gonne plissettate delle vecchie del paese o almeno di una delle mie nonne, l’altra era troppo avanti per rimanere schiava di tradizioni che stavano inesorabilmente tramontando. L’ultimo che ancora sentiva aleggiare nei discorsi degli adulti di fatti che non erano di questo mondo, un contatto diretto con l’aldilà o con il soprannaturale. La morte che, come un avvenimento ineluttabile, veniva esorcizzato in vari modi. E’ strano, la morte era un avvenimento molto famigliare e compreso dai più, ma aveva sempre una manifestazione tragica quando avveniva. Non ho mai visto le “piangine” di professione, ma era la rete di conoscenze sociale che sopperiva e l’impianto della commedia greca era sempre presente con il coro tragico.  

Realtà rurale periferica quindi anche tanta povertà. L’istituto del “Fillus de animaera presente anche dalle mie parti solo che si chiamava “figl’n’sant”. Un affido ante-litteram, che sopperiva le carenze di uno stato sociale ancora molto debole. E tutto era naturale. La famiglia, di solito operaia o contadina poverissima, affidava uno dei suoi tanti figli ad un parente ricco, un notabile o semplicemente un benestante, che lo cresceva come suo senza però estirparlo dal nucleo di provenienza. Forse era semplicemente buon senso, cosa che sembra mancare in questo periodo per quanto riguarda l’affido o l’adozione.

E l’eutanasia? Argomento troppo delicato da affrontare, troppo legato alle singole coscienze, la verità assoluta sull’argomento non esiste.

horsefly


Giuseppe per la lettura… sarda.

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